Queste riflessioni nascono da un interrogativo: come può l’aikido assumere un ruolo di antagonista della violenza? Il tema è talmente rilevante, in termini personali, sociali e politici, che una risposta deve partire da una premessa quanto più rigorosa possibile; è ciò che si intende qui fare, seppure in forma sintetica.
Negli ultimi decenni è cresciuta l’attenzione del/la cittadino/a medio/a sul tema della violenza in ambito sociale e domestico. E’ percezione diffusa che il livello di “aggressività” si stia progressivamente elevando, e molteplici sono le ragioni addotte per spiegare questo fenomeno. Purtroppo la conoscenza e la consapevolezza sono ancora poco presenti, non solo nell’universo maschile, ma anche in quello femminile.
La riflessione sull’Aikido e il suo modo di porsi all’attenzione della società deve oggi basarsi su un livello d’analisi approfondita. Non si può pensare di proporlo come una disciplina marziale che insegna a diventare invincibili e neppure come una pratica fisica “terapeutica” che consentirebbe di “scaricare l’aggressività delle persone” (siano essi bulli o persone aggressive; Lilienfeld et al. – 2011- hanno documentato che gli sport violenti e aggressivi non riducono il comportamento violento; tutt’al più determinano stanchezza fisica temporanea.)
COME STANNO LE COSE
Innanzi a tutto è opportuno definire il termine “violenza” grazie all’Enciclopedia Treccani:
La violenza è la tendenza abituale a usare la forza fisica o psicologica al fine di imporre la propria volontà. Dalla violenza intesa come forma estrema di aggressione, in tempi più recenti il termine è passato a significare ogni forma di influenza, condizionamento o controllo delle potenzialità pratiche e intellettuali degli esseri umani.
Questa definizione, così sintetica ed efficace, nasconde la reale complessità del fenomeno, che rende difficile un discorso non contaminato dalle ideologie e dalle proprie posizioni personali, per almeno tre ragioni: A) esistono varie forme di violenza, che oltre a possedere origine, diffusione e gravità diverse, hanno anche una matrice di genere; B) i dati non sono facilmente disponibili e, quando lo sono, non vengono sempre presentati in modo omogeneo; C) alcuni “miti della psicologia popolare” tendono ad “inquinare” il pensiero analitico.
Per prima cosa è opportuno considerare le diverse tipologie di violenza. Senza un riferimento lessicale condiviso, infatti, possono nascere alcuni fraintendimenti. Gli atti di violenza, pur avendo tutti la stessa origine, determinano effetti diversi in chi li subisce, e diversa è pure la percezione del rischio che ne deriva. La classificazione non è semplice. Se consideriamo infatti l’omicidio come l’espressione estrema della violenza, potremo classificare i delitti sulla base delle motivazioni, oppure sulla base del genere di chi li commette o di chi li subisce, ecc. Come primo aspetto consideriamo le variazioni avvenute tra il 1984 e il 2002 nelle denunce sporte all’autorità giudiziaria dalle forze dell’ordine in merito a tre tipologie di reati: scippi, omicidi e rapine in appartamenti (Figura 1).
Le osservazioni immediate sono: A) gli omicidi, dopo un aumento fino al 1991 (circa 3 ogni 100.000 abitanti, a causa dei delitti di mafia), continuano a decrescere progressivamente e hanno raggiunto valori in linea con altri Paesi europei (1,2 ogni 100.000 abitanti); B) gli scippi hanno avuto elevata incidenza nei primi anni ‘90 per poi ridursi progressivamente a valori intorno a 5 casi/100.000 abitanti; C) i furti in appartamento hanno raggiunto il valore massimo nel 1998, dopo di che sono diminuiti fino a 302 casi/100.000 abitanti.
E’ possibile quindi affermare che questi tre esempi di criminalità (scelti perché considerati importanti nel determinare il senso di insicurezza del cittadino medio rispetto alla propria incolumità) sono in fase di regresso nell’arco di tempo considerato, e non in aumento, come spesso si crede.
Passiamo ora ad esaminare tre indicatori di violenza sessuale ai quali è fortemente connessa la percezione della sicurezza da parte della popolazione femminile. Abbiamo rappresentato in Figura 2 l’andamento nel tempo degli omicidi passionali/sessuali, dei sequestri di persona per scopi sessuali e delle violenze carnali/sessuali. Si può definire la violenza carnale come:
l’illegale penetrazione sessuale di un qualsiasi orifizio corporeo[…]; in alcune giurisdizioni può comprendere la penetrazione degli orifizi corporei attuata con oggetti inanimati[…] la violenza carnale è di solito un atto sessuale commesso dopo minacce o con l’uso della forza contro una persona non consenziente (Manuale Merk).
Questo tipo di reato è quasi totalmente commesso del genere maschile, e fino a tempi recenti è stato considerato un reato contro la morale e il buon costume: solo con la legge del 1996 la violenza sessuale viene considerata un reato contro la persona!
Le considerazioni sono le seguenti:
- gli omicidi con moventi “passionale” e sessuale sono costanti nell’ultimo decennio (circa 0,1 ogni 100.000 abitanti). In diverse pubblicazioni viene fatto rilevare, con preocupazione, un aumento negli ultimi anni della percntuale delle vittime femminili e una diminuzione di quelle maschili. In realtà, ciò sembra essere il risultato di un riassestamento su “numeri fisiologici”, rispetto a quelli elevati dovuti alla esplosione di omicidi da criminalità (eseguiti da uomini) che hanno colpito prevalentemente i maschi. Il Ministero dell’Interno (2010) dice infatti:
L’andamento del fenomeno presenta variazioni consistenti negli anni 1990 e 1991, con tassi che superano i 3 omicidi ogni 100.000 abitanti. Dopo questo periodo la curva, con una certa regolarità, scende per assestarsi ad un tasso di 1/100.
- i sequestri di persona per scopi sessuali tra il 1993 e il 2003 oscillano tra lo 0,3 e lo 0,4 ogni 100.000 abitanti; val la pena ricordare che fino al 1981, in Italia, lo stupro della donna non era considerato reato se, dopo l’evento, la donna sposava il suo rapitore. Tale “norma” era contenuta nella Bibbia (Deuteronomio, 22,23-29)
- le 3 violenze carnali/sessuali mostrano invece un aumento significativo a iniziare dal 1993 (quando erano 1,5 per 100.0000 abitanti), fino a raggiungere, negli ultimi anni, 5 casi ogni 100.000 abitanti. Ciò significa, semplificando, che la “probabilità” per una donna di subire violenza sessuale/carnale è, attualmente, circa 50 volte maggiore di quella di essere uccisa per motivi sessuali. Nella figura 2 è stata anche inserita la mortalità da incidenti stradali. Questo dato ci consente di formulare due osservazioni:
A) il numero di vittime di omicidi e sequestri di persona per scopi sessuali è molto inferiore a quello delle vittime della strada; ciò può indurre a riflessioni sulla diversa “percezione del rischio”
B) nel corso degli anni la mortalità da incidenti stradali è diminuita dall’8,5 del 1984 al 2,3 del 2003 (quindi quasi del 70%). Purtroppo nello stesso periodo di tempo sono aumentati i delitti di violenza carnale/sessuale, fino a diventare il doppio di quelli prodotti dalla “strada”. Questo dato diventa ancora più allarmante perchè non tutti gli atti di violenza carnale vengano effettivamente denunciati.
Tanto gli episodi di violenza carnale che gli omicidi sembrano essere una (terribile) prerogativa del genere maschile. La percentuale di donne vittime di omicidi è infatti circa un terzo di quella degli uomini, così come anche le donne che commettono delitti sono meno numerose degli uomini (Tabella 1).
In conclusione possiamo delineare “il quadrato della violenza omicida” (Tabella 2), riportando i valori di mortalità (espressi in numero di vittime per milione di abitanti) relativa al periodo 2004-2006.
Ciò che emerge con chiarezza è che le donne hanno una mortalità complessiva di 2,42 vittime per milione, dovuta per il circa il 93% all’azione di un uomo. Gli uomini hanno una mortalità totale (8,58 vittime per milione) che è circa 3,5 volte maggiore di quella femminile (2,42 vittime per milione) ed è dovuta a un altro uomo per il 92% dei casi. Gli uomini uccisi dalle donne (0,61) sono circa il 7% del totale degli uomini uccisi e il triplo delle donne uccise dalle donne (0,17). Le vittime maschili delle donne, secondo alcuni, sono almeno in parte, come conseguenza di reazioni dettate da legittima difesa da una violenza maschile. Le motivazioni dei delitti sono molteplici e sono rappresentate in figura 3, desunta da una tesi di laurea che ha analizzato i delitti di genere utilizzando quelli riportati nelle cronache di alcuni giornali. Pertanto il campione analizzato non riguarda tutti i delitti con queste caratteristiche commessi in Italia, negli anni 2002 e 2003. Ciò non toglie che esso sia sufficientemente numeroso per cogliere alcune importanti informazioni.
Ancora una volta risulta evidente come gli uomini uccidano le donne (338 nel periodo considerato), più di quanto le donne uccidano gli uomini (41). E’ da sottolineare come i delitti per 4 motivazioni sessuali/passionali siano una percentuale relativamente modesta (10,6% nel caso dei delitti commessi da maschi). Questa ricerca, ha messo in luce che, nel corso degli anni, si sono modificate le motivazioni che spingono l’uomo ad uccidere. Dagli anni ’60 ad oggi è aumentata la percentuale di crimini commessi perché l’aggressore non sopporta di essere stato abbandonato (si passa dal 13,1% al 22,6%), mentre quasi sparisce il movente della gelosia (si passa dal 12,7% al 1,9% dei casi).
Il crimine per onore, presente nel 10% dei casi negli anni ‘60 è di fatto assente nel 2002-03. Secondo lo studio ISTAT (2010), come nei casi di omicidio, anche lo stupro, il tentato stupro e l’imposizione di rapporti sessuali non desiderati sono perpetuati nella maggior parte dei casi da mariti, partner, ex mariti, ex partner e conoscenti. In sintesi, considerando tutte queste tipologie di violenza sessuale, i non-partner sono colpevoli nel 20,4% dei casi, mentre i partner nel 79,6% dei casi. Va comunque precisato che i non-partner comprendono anche amici e parenti (3% dei casi).
Consideriamo ora le violenze fisiche, che in alcuni casi assumono la caratteristica di tentato omicidio. Tra esse è più frequente l’essere spinta, strattonata, afferrata, l’avere avuto storto un braccio o i capelli tirati (56,7%), l’essere minacciata di essere colpita (52,0%), schiaffeggiata, presa a calci, pugni o morsi (36,1%). Segue l’uso o la minaccia di usare pistola o coltelli (8,1%) o il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione (5,3%). Queste percentuali sono però considerate sottostimate perché non tutte le violenze fisiche subite vengono denunciate: il “sommerso” è elevatissimo, e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. E’ consistente la quota di donne che addirittura non parla con nessuno delle violenze subite. Alcune forme di violenza (violenza domestica, violenza sui minori, violenza sulla donna) sono altre classificazioni della violenza che il maschio esercita prevalentemente nell’ambito della famiglia. Non si dimentichi inoltre che in molti Paesi esistono ancora pratiche, come le mutilazioni genitali, gli aborti selettivi, i matrimoni coatti, ecc. , che hanno le donne come vittime.
Resta infine da considerare la violenza psicologica, una forma di violenza che quasi sempre viene sperimentata da chi subisce violenza fisica. Secondo l’ISTAT (2006):
7 milioni 134 mila donne hanno subito o subiscono violenza psicologica: le forme più diffuse sono l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%) e la svalorizzazione (23,8%), seguono le intimidazioni nel 7,8% dei casi. 2 milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), che le hanno particolarmente spaventate, dai partner al momento della separazione o dopo che si erano lasciate, il 18,8% del totale. Tra le donne che hanno subito stalking, in particolare il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la sua volontà, il 61,8% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla, il 57% l’ha aspettata fuori casa o a 5 scuola o al lavoro, il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati, il 40,8% l’ha seguita o spiata e l’11% ha adottato altre strategie. Quasi il 50% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da un partner precedente ha subito anche lo stalking, 937 mila donne. 1 milione 139 mila donne hanno subito, invece, solo lo stalking, ma non violenze fisiche o sessuali.
Dopo le forme di violenza vera e propria è necessario prendere in considerazione le molestie, che vengono così definite dal D.L. 11 aprile 2006, n.198 (Art. 26 Molestie e molestie sessuali):
1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Pare opportuno sottolineare che sono “molesti” quei comportamenti che vengono percepiti come tali da chi li subisce. La legge non fornisce un elenco specifico di molestie. Per avere una idea di ciò che può essere “molesto” si può ricorrere ad elenchi presenti in “codici di comportamento” come quello dell’Università degli Studi di Parma (2009), secodo il quale sono considerate molestie:
a) richieste esplicite o implicite di prestazioni sessuali o attenzioni a sfondo sessuale non gradite e ritenute sconvenienti e offensive per chi ne è oggetto;
b) minacce, discriminazioni e ricatti subiti per aver respinto comportamenti a sfondo sessuale o, alcontrario, per esservisi sottomessi, che incidono, direttamente o indirettamente, sulla costituzione, sul percorso o sull’estinzione del rapporto di lavoro e la progressione di carriera;
c) contatti fisici fastidiosi e indesiderati;
d) apprezzamenti verbali offensivi sul corpo e sulla sessualità;
e) gesti o ammiccamenti provocatori e indesiderati a sfondo sessuale;
f) esposizione di materiale pornografico nei luoghi di lavoro.
Il fatto che i comportamenti siano molesti quando vengono percepiti come tali determina due responsabilità: da un lato l’uomo dovrebbe aver presente che un suo comportamento potrebbe essere assunto come molesto da parte della donna; la donna dovrebbe essere consapevole che un comportamento da lei percepito come molesto potrebbe non avere tale caratteristica per l’uomo che lo attua (magari perché purtroppo coerente con un certo tipo di cultura). Affinchè non vi siano equivoci, sarebbe opportuno che la donna dichiarasse subito, in modo assertivo, che il comportamento tenuto dall’uomo le è sgradito e che, se ripetuto, lo identificherebbe come molestia (sessuale) e, come tale, perseguibile penalmente.
Le molestie hanno una frequenza molto elevata; stando alla ricerca ISTAT (2010), le donne che nel corso della loro vita hanno subito forme di molestie verbali (quelle più diffuse) sono state pari al 26,6 per cento delle donne di 14-65 anni), seguite dagli episodi di pedinamento (21,6 per cento), dagli atti di esibizionismo (20,4 per cento), dalle molestie fisiche (19 per cento) e dalle telefonate oscene (18,2 per cento). L’1,4 per cento delle donne ha ricevuto altri tipi di messaggi osceni, vocali o scritti, per telefono, tramite posta tradizionale o posta elettronica. Negli ultimi tre anni precedenti l’intervista il 9,1 per cento delle donne tra i 14 e i 65 anni ha subito molestie verbali, il 7,1 per cento è stata pedinata, il 5,6 per cento ha ricevuto telefonate oscene, il 4,1per cento è stata oggetto di molestie fisiche e il 2,8 per cento ha assistito ad atti di esibizionismo. In questa forma di violenza, gli sconosciuti sono responsabili per circa il 60% dei casi e il 40 % è ad opera di persone più o 6 meno conosciute (ISTAT, 2010). E’ evidente che le molestie possono contenere una forte componente di violenza psicologica. Quindi lo stalking e il mobbing possono anche essere considerate molestie, sebbene le loro conseguenze possano essere più gravi di quanto non possa far supporre il termine “molestia”.
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
A questo punto abbiamo documentato con sufficiente chiarezza che i maschi della specie umana:
- uccidono molto più delle femmine
- sono più frequentemente vittime di altri uomini
- commettono violenza carnale e sessuale su femmine (ma anche su minori)
- sono responsabili di comportamenti violenti nei confronti delle donne, che vanno dalle molestie sessuali (attuate in gran parte da estranei) e ricatti sessuali allo stalking, dall’imposizione di rapporti sessuali non desiderati allo stupro (attuati in prevalenza da mariti, partner, ex-mariti, ex-partner, conoscenti, e raramente da estranei), per non parlare poi delle violenze psicologiche in ambito domestico e lavorativo.
Un simile quadro sembra rendere dubbio il ruolo dell’aikido in un approccio tipo “difesa personale” per diverse ragioni (banalizzando):
- fornire alle donne strumenti per difendersi dalle aggressioni maschili non risolve il problema alla radice perché, fintanto che tutte le donne non saranno in grado di difendersi, vi sarà sempre una possibile vittima femminile di un uomo violento
- le aggressioni fisiche e sessuali in ambito familiare sono,quasi sempre, precedute da violenze psicologiche. I ricatti, le minacce, la paura di perdere una relazione anche se violenta, la solitudine, sono, insieme a tanti altri, fattori che rendono la donna fragile e vittima. In queste situazioni, ciò che conta è la capacità di gestire la relazione, anche con l’aiuto di esperti, piuttosto che saper dare un pugno efficace
- una preparazione tecnica efficace richiede anni di allenamento: un impegno temporale che non può che scoraggiare molte persone.
Ovviamente interrompere qui la riflessione renderebbe inutile tutto il lavoro svolto fino a questo punto. Conviene progredire a un approfondimento, con un ultimo sforzo, per verificare se esistano altre opportunità per l’aikido.
La letteratura internazionale sulla violenza domestica sottolinea come i comportamenti violenti si trasmettano tra le generazioni. La violenza subita e/o di cui si è stati testimoni da piccoli aumenterebbe il rischio che il comportamento venga riprodotto da adulti come persecutore o come vittima, se non addirittura entrambi, a seconda del contesto.
I dati dell’indagine ISTAT (2006) confermano che le donne vittime di violenza sessuale prima dei 16 anni sono maggiormente a rischio di violenza sessuale da adulte (64,4% contro il 29,6% per le donne che non hanno subito violenza da bambine), come anche le donne che hanno assistito a violenze tra i genitori (il 7,9% delle donne intervistate). Tra queste ultime la quota di vittime di violenza da adulte è del 58,5% contro il 29,6% per le donne che non hanno assistito nell’infanzia a violenze tra i genitori. Lo stesso andamento è riscontrabile tra le donne che hanno subito violenze fisiche dai genitori o dai fratelli: il 69,5%ha subito violenza anche da adulta contro il 29,1% di quelle che non sono state maltrattate nella famiglia di origine.
Considerando, invece, l’autore della violenza, la quota di partner attuali violenti con la propria partner è pari al 30% fra coloro che hanno assistito a violenze familiari al 34,8% fra coloro che l’hanno subita dal padre, al 42,4% tra chi l’ha subita dalla madre e al 6% circa tra coloro che non hanno subito o assistito a violenze nella famiglia d’origine.
Questi dati confermano il ruolo della famiglia nella trasmissione di comportamenti più o meno violenti. Un particolare, spesso non ben colto e sottaciuto, è che i maltrattamenti subiti direttamente dal padre e dalla madre sono correlati con la violenza verso i partner (Ministero 7 dell’interno, 2010). Questo testimonia l’esistenza di una violenza femminile sui figli che forse non è ancora ben quantificata. Questi dati riconfermano il ruolo dell’ambiente culturale e familiare nel quale una persona cresce nel definire il grado di violenza dei suoi futuri comportamenti. Per la violenza assistita vedasi il documento disponibile nel sito: http://www.minori.it/sites/default/files/Spettatori%20e%20Vittime.pdf
Da questo quadro emerge la infondatezza di una delle obiezioni maggiori mosse alla possibilità di modificare il livello di violenza, che consiste nell’affermarne la natura istintiva, o la scarica liberatoria di tensioni psichiche accumulate, anche a causa di comportamenti provocatori della donna stessa.
Diana Nardacchione (2009), psicologa ed esperta di arti marziali, parlando delle differenze biologiche tra maschi e femmine, così si esprime:
Negli esseri umani le stesse pulsioni istintuali presenti negli animali possono essere pilotate dai risultati delle esperienze fatte, dalle pressioni sociali, dai coinvolgimenti affettivi, dalle speculazioni razionali. Per effetto di questa modulazione culturale, le differenze psicologiche tra i sessi , malgado possano essere talvolta sembrare abissali, sono, in realtà, relativamente modeste e, quel che più conta, assolutamente relative e per nulla rigorose.
Il ruolo dell’ambiente e delle esperienze nella genesi della violenza è sostenuta anche dall’Enciclopedia Treccani, alla voce “violenza”. In tale articolo, ben documentato in termini scientifici:
si nega A) la concezione istintivistica dell’aggressività umana: la maggior parte degli psicologi e degli etologi sia oggi d’accordo nel ritenere assolutamente inadeguato l’uso del concetto di istinto nella specie umana; B) il carattere di inevitabilità della reazione aggressive, sostenuto con l’idea (non verificata sperimentalmente) di un’energia psichica prodotta incessantemente dall’organismo, continuamente accumulata e scaricata quando si giunge ad un limite critico. Si sostiene invece il ruolo socio-culturale nella genesi di comportamenti violenti: la nostra violenza è una conseguenza del nostro sviluppo psicologico e quindi delle condizioni socioculturali che lo hanno influenzato e in primo luogo dell’educazione.
Un’ipotesi suggestiva e razionale, rispetto alla violenza di genere, ci è offerta da Deriu (2006) che scrive:
… credo che oggi come oggi gli uomini commettano violenza soprattutto perché non accettano la differenza, ovvero non accettano l’alterità della propria compagna. … Ciò che è difficile per gli uomini oggi non è riconoscere che le donne hanno pari dignità o valore degli uomini. Ciò che è difficile è stare di fronte ad una donna ed accettare che essa è altro da noi. … Dunque accettare la libertà di differire della donna, accettare la propria parzialità e limitatezza e accettare una relazione reale sono tre aspetti intimamente connessi. … Il desiderio altrui non esiste se non come obbligato prolungamento del proprio. … Non si è consapevoli dell’esistenza del mondo interiore della persona che amiamo, di possibili desideri, aspirazioni, bisogni autonomi e non sospettati. Allo stesso tempo questa mancanza di riconoscimento dell’altra persona coincide con la perdita anche di una reale percezione di se stessi. In questa condizione, l’esperienza dell’abbandono, della fine della relazione, può diventare qualcosa di sconvolgente e intollerabile.
Queste parole, scritte per la violenza di coppia, possono anche essere estese a considerazioni generali sulla violenza sessuale.
Alla luce di tutte queste considerazioni sembra NON paradossale immaginare i dojo dove si pratica Aikido come centri di “autocoscienza maschile e femminile”. Probabilmente sta già avvenendo e forse non ce ne siamo accorti.
L’ Aikido è, potenzialmente, aperto a tutte le persone, quindi a maschi e femmine. Questa 8 possibilità di pratica comune può rappresentare l’occasione per:
- sperimentare rapporti fisici tra persone di diverso genere che non siano inquinati dall’aspettativa sessuale
- riconoscere le diversità di genere (e valorizzarle), adeguandosi nella pratica ai bisogni e alle aspettative
- sperimentare valori etici positivi (collaborazione, empatia, accettazione, cura di sé e dell’altro/a) per aumentare liveli di autostima consapevole
- sperimentare la gestione assertiva del conflitto fisico accogliendolo, riconoscendolo, valutandolo e risolvendolo
- vivere l’Aikido come paradigma della gestione dei conflitti quotidiani
Questo significa riconoscere e accettare le persone in quanto tali, senza ideologie sessiste: ciò già avviene in molti dei dojo nei quali si pratica l’Aikido. Vi è però un dato che dovrebbe far pensare: le donne che praticano aikido sono una frazione molto piccola dei maschi. Già questo determina dei benefici nei comportamenti intra-genere, che tende a caratterizzare il contesto della pratica. Però, se si dovesse pensare di aprire maggiormente i dojo alle donne (magari con il supporto delle istituzioni) sarebbe opportuno trovare strategie adeguate. Sicuramente non è attraverso le dimostrazioni che si può indurre le donne a praticare l’Aikido, perché in esse si evidenzia la natura marziale dell’aikido, più attrattiva per una cultura maschile che non per quella femminile.
Probabilmente ciascuno di noi ha sperimentato nel proprio insegnamento il tema della violenza di genere e probabilmente ne ha cercato soluzioni. Perché non mettere in comune queste esperienze e farle diventare patrimonio dei Maestri della FESIK?
BIBLIOGRAFIA
Deriu Marco, 2006 – Amore e riconoscimento – Via Dogana n. 78 Settembre 2006, pp. 21-23. scaricabile alla pagina http://maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=3:la-violenzamaschile&catid=61:per-approfondire-sulla-violenza-maschile&Itemid=53
Enciclopedia Treccani – http://www.treccani.it/enciclopedia
ISTAT, 2007 – La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia Scaricabile alla pagina: http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070221_00/testointegrale.pdf
ISTAT, 2010 -Le molestie sessuali e i ricatti sessuali sul lavoro Anni 2008-2009, Scaricabile alla pagina http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100915_02/
Lilienfeld Scott O., Lynn Steven J., Rushio John, Beyerstein Barry L. (2011) – I grandi miti della psicologia popolare: contro i luoghi comuni – Raffaello Cortina Editore.
Manuale Merck, Ginecologica e ostetricia – Esame medico della vittima di violenza carnale, reperibile in rete al sito http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez18/2442129.html
Ministero dell’Interno, 2010: Rapporto sulla criminalità in Italia. Analisi, Prevenzione, Contrasto. Scaricabile alla pagina web: http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0900_rapporto_criminalita
Nardacchione Diana, 2009: Psicologia per l’autodifesa femminile Editrice Il dito e la luna.
Quaglia Francesca, 2004: Gli omicidi tra uomini e donne: un’analisi diacronica a partire dai giornali. Sintesi della tesi di Laurea, alla pagina www.antiviolenzadonna.it/menu_servizio/documenti/studi/id12IT.pdf
Università degli Studi di Parma, 2009: Codice di condotta per la tutela della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, delle studentesse e degli studenti, 28 ottobre 2009 con delibera n. 471/28553 del Consiglio di Amministrazione. (alla pagina web: http://www.pariopportunita.unipr.it/stuff/codice_condotta.pdf)
RINGRAZIAMENTI
Un grazie di cuore ai Maestri: Dott. Michel Nehme, Flavio Pellicelli e Gaspare Giacalone che hanno condiviso la presentazione di questo testo, su un argomento tanto delicato. Pensiamo che esso possa aiutare a diffondere la disciplina anche in settori della società che oggi non la conoscono e che ne potrebbero apprezzare l’utilità formativa e sociale. Un grazie anche a tutte le persone (Maestri e allievi) con le quali ho praticato e/o pratico, per la loro pazienza e per l’incoraggiamento a continuare. Roberto Antonietti Coordinatore Culturale e Didattico Settore Aikido (Direttore Tecnico Dott. Michel Nehme) della FESIK e D.A Tel: 3290149971 Email: [email protected]
Tutti i testi presentati da Roberto Antonietti sono scaricabili nel sito: www.aikidoinsieme.it