Il nome dello stile più diffuso di karate, significa semplicemente, sala o casa, (kan) di shoto, pseudonimo con cui era noto fin dalla giovinezza il M° Funakoshi. Per avere le idee più chiare sul significato di shoto, riportiamo le parole del M° tratte dalle pagine del suo libro “Karate do, my way of life”.
Condividi suEssendo a conoscenza del fatto che cercavo un locale per l’allenamento, il mio amico Hiromichi Nakayama, Istruttore di Kendo, mi offerse l’uso del suo dojo nelle ore libere dal suo insegnamento. Dopo qualche tempo però, quella sistemazione divenne inadeguata, in quanto i miei allievi crescevano continuamente, così come i praticanti di kendo. Diventavo così di disturbo per il mio benefattore e purtroppo la mia situazione economica non mi permetteva di realizzare il più ovvio dei sogni: costruire un dojo esclusivamente per il karate. Soltanto intorno al 1935 un gruppo di amici cominciò a raccogliere fondi per la prima palestra mai eretta in Giappone. E fu nella primavera del 1936 che, non senza una punta di orgoglio, misi piede per la prima volta nella nuova palestra e vidi sopra la porta una targhetta che ne portava inciso il nome: shotokan. Questo era stato scelto dalla Commissione senza che io riuscissi a capire perché avessero preferito lo pseudonimo letterario con cui in gioventù avevo firmato le mie liriche cinesi. Da allora diventando famoso il nome della palestra, mi è stato spesso domandato di chiarire il senso di quello pseudonimo. Il termine shoto in Giappone significa onde di pino, non ha dunque alcun significato recondito, ma voglio or perché mi è stato tanto caro. La mia nativa città di Shuri è circondata da colline ricoperte da foreste di pini di vegetazione subtropicale. Tra questi spicca il monte Torao che letteralmente e in modo molto appropriato significa “Coda di Tigre”, essendo molto stretto e così fittamente boscoso da ricordare effettivamente, visto da lontano, la coda di quel grosso felino. Nei momenti liberi era mia abitudine passeggiare lungo il monte Torao, spesso di notte quando la luna era piena e la volta stellata chiarissima. Al medesimo tempo quando si alzava qualche soffio di vento, si poteva udire il frusciare dei pini, e sentire il profondo, impenetrabile mistero che sta alla radice della vita stesa. Per me quel mormorio era una musica dolcissima. I poeti di tutto il mondo si sono interessati al sottile mistero che è insito in boschi e foreste, e io mi sentivo attirato verso quell’affascinante solitudine di cui essi erano il simbolo. Il mio amore per la natura era forse così intenso, perché ero un ragazzo fragile e di salute cagionevole, anche se assolutamente non mi si poteva definire un tipo solitario. Purtuttavia dopo ogni allenamento di karate particolarmente duro, niente mi piaceva di più che appartarmi e passeggiare in solitudine. Più tardi essendo sui ventanni e lavorando a Naha come insegnante, raggiungevo spesso una lunga e stretta isola nella baia, che vantava uno splendido parco naturale, chiamato Okunoyama, con gloriose piante di pino e ampi stagni di loto. L’unica costruzione dell’isola era un tempio Zen e anche qui mi piaceva passeggiare solo tra le piante. Dopo qualche anno di pratica quotidiana del karate, conoscendola più a fondo, mi resi conto della natura spirituale di questa disciplina. Godermi la mia solitudine ascoltando il vento fischiare tra le piante mi sembrava un modo ideale per raggiungere quel vuoto della mente che il karate richiede. E dal momento che quest’abitudine era stata parte del mio modo di vivere fin dalla prima fanciullezza, decisi che non vi era nome migliore di “shoto”, con cui firmare le liriche che componevo. Col passare degli anni questo pseudonimo è divenuto più famoso e conosciuto del mio nome vero tanto che se non aggiungo il termine shoto al nome Funakoshi, la gente non sa chi io sia.