Nell’articolo: “L’uso delle anche” ho ribadito più volte che non è facile trasferire la teoria nella pratica e questo credo sia un concetto condiviso da tutti. Conoscere a fondo il lavoro muscolare, la biomeccanica, l’evoluzione dei modi e metodi con cui il nostro corpo produce i movimenti in ambito sportivo aiuta sensibilmente, ma non è sufficiente altrimenti basterebbe un laureato in scienze motorie con 110 e lode e il problema è risolto. Queste ed altre problematiche legate alla nostra disciplina, sono oggetto di interesse di tutti quei maestri e praticanti orientati verso uno studio approfondito sui mezzi modi e metodi per migliorare il gesto del karate.
La difficoltà di produrre una tecnica raffinata è legata al modo con cui si riesce a controllare l’attivazione dell’energia. Il controllo può avvenire solo quando l’energia è sufficiente per la sua attivazione.
Sembra un gioco di parole ma è così e continuando a leggere capiremo perché.
Il nostro corpo dispone sempre di energia ma il problema è come renderla disponibile e soprattutto in che quantità. In relazione a questo, durante l’allenamento ci troviamo a dover controllare e valutare due situazioni diametralmente opposte: tecniche con troppa energia sviluppate con vibrazioni muscolari eccessive, e altre totalmente carenti di potenza, dove l’attivazione dell’energia è quasi del tutto assente.
In entrambi i casi assistiamo ad esecuzioni poco convincenti, dove si intuisce che del lavoro muscolare c’è una padronanza limitata. Questa limitatezza è una delle cause della stasi tecnica a cui facevo riferimento nel precedente articolo.
Per farla breve, questo è il motivo per il quale il M° Funakoshi definiva il karate raffinato. Lui percepiva la grande difficoltà che si incontra nella pratica, perché dietro un calcio ed un pugno ci sono continue interazioni tra lavoro muscolare e sistema nervoso non facili da compenetrare ma che insieme se attivate nel modo corretto producono l’energia adeguata che concentra tutta la potenza sprigionata da un uso corretto delle anche.
Quest’ultime infatti servono a convogliare l’energia nella tecnica specifica. Nelle tecniche di karate, la fonte maggiore dell’energia è sprigionata da una compressione verso il basso del nostro corpo tramite i piedi. Alcuni dicono “schiacciare”.
L’energia che si attiva da questa compressione, è convogliata tramite le gambe nella zona del tanden e con un controllo e un sincronismo della respirazione viene espressa nella tecnica specifica di pugno o di parata. In questo lavoro molto complesso, se non si fa attenzione si rischia di rimbalzare più che schiacciare. Se accade questo, il tempo di attivazione dell’energia si allunga proporzionalmente all’errore commesso.
Al contrario, in un’attivazione corretta, il tempo che intercorre tra pensare la tecnica (attivare) ed eseguire generando potenza è infinitesimo e le due azioni diventano quasi simultanee. Questo perché se non ci sono storture o forzature, l’energia origina spontaneamente e in modo naturale dal nostro corpo.
Per le tecniche di calcio dobbiamo inserire altri elementi i quali ci permettono di capire meglio l’intervento delle anche. Questo è il tema del prossimo articolo.
Esercizi per migliorare l’attivazione dell’energia
Posizione Heiko (Dachi, piedi paralleli alla larghezza dei fianchi): braccia distese in avanti come yoi (pronti).
Chiudere i pugni in modo naturale senza entrare in contrazione isometrica. Iniziando ad intensità media e aumentando gradualmente, stringere il pugno mantenendo le spalle rilassate.
Arrivare a stringere i pugni in modo massimale senza inserire la respirazione.
Ripetere tutti i passaggi inserendo la respirazione.
Ripetere tutto in posizione kiba dachi.
In ultimo iniziare ad eseguire in modo alternato le tecniche di pugno aumentando gradualmente l’intensità.
Se abbiamo lavorato “bene” ci accorgeremo che qualcosa manca. Per quanto vogliamo dare forza e intensità ai pugni avvertiamo che c’è un enorme dispendio di energia senza ottenere l’effetto voluto. Se avessimo di fronte una tavoletta di legno dello spessore di circa 3 o 4 cm, (blando tameshi wari) non so se riusciremmo a romperla.
Questo perché manca buona parte dell’energia che non può scaturire perché non è stato inserito l’elemento che fa la differenza: la pressione esercitata con i piedi che schiacciando attiva l’energia trasformata dalle anche subito dopo. Durante l’esercizio, come spiegavo sopra, si deve fare attenzione a non confondere schiacciare con rimbalzare.
Proviamo ora a descrivere un altro esercizio che ci aiuti a comprendere meglio il momento dell’attivazione dell’energia, cercando di rispettare i parametri legati alle tensioni muscolari alla respirazione e alla loro unione.
Posizione kiba dachi, palmo della mano destra che si appoggia sul palmo della mano sinistra.
Senza respirazione, provare semplicemente a premere i due palmi l’uno contro l’altro aumentando gradualmente la forza fino ad arrivare alla massima intensità. Invertire i palmi e proseguire.
Man mano che si va avanti nell’esercizio, rivolgendo l’attenzione verso i gruppi muscolari interessati, ci si accorgerà che aumentando la forza della pressione sui due palmi delle mani, aumenta di conseguenza la tensione isometrica principalmente sui grandi pettorali, tricipiti, bicipiti, deltoidi.
Fare attenzione alla giusta contrazione dei muscoli delle spalle. Se questi operano nel modo corretto si crea naturalmente una tensione adeguata la quale ci servirà nelle tecniche specifiche.
Mantenendo un’attenzione costante sulle tensioni muscolari iniziamo ad eseguire i pugni aumentando in modo graduale forza e velocità fino ad arrivare al massimo.
A questo punto cerchiamo di capire come individuare il momento di massima energia dopo il quale entriamo nella zona limite, dove come abbiamo detto le tecniche originano da forzature muscolari e non da situazioni naturali.
Eseguire 10 tecniche alternate in posizione kiba dachi di tsuki chudan (pugno medio) iniziando a bassa intensità facendo in modo che il secondo pugno sia più intenso del primo, il terzo più del secondo e così via fino al decimo il quale dovrebbe avere tutti i requisiti di massima potenza e velocità senza storture o vibrazioni superflue.
Se siamo attenti ai segnali inviati dai nostri muscoli, mentre aumentiamo l’intensità del pugno ci accorgiamo se l’attivazione dell’energia si mantiene nei parametri descritti.
Man mano che proseguiamo nell’esercizio, se il nostro corpo inizia a vibrare vuol dire che oltre un certo livello di intensità e di forza non siamo in grado di mantenere il controllo dell’energia.
Questo è il nostro punto ovviamente soggettivo oltre il quale non dobbiamo andare se vogliamo mantenere la tecnica di pugno dentro i parametri di raffinatezza predicati dal M° Funakoshi.
Questo esercizio ci aiuta e ci migliora nella gestione delle sensazioni e nella percezione del lavoro muscolare e ci permette di eseguire in modo raffinato anche le altre tecniche. In ultimo e non è poco, diventiamo più consapevoli nella gestione della quantità di energia che vogliamo dare alla tecnica senza che diventi priva di significato o al contrario troppo carica di forza.
Col tempo si acquisisce una nuova consapevolezza sul modo di eseguire e di allenarsi e si intuisce tranquillamente non solo ciò che il Maestro intendeva per raffinato ma soprattutto perché insisteva tanto su questo concetto che è stato un punto fermo in tutta la sua pratica e il suo insegnamento.