Spesso è stato detto o scritto, che nel momento del Mokuso, si dovrebbe cercare di svuotare la mente, far entrare i pensieri e lasciarli svanire. Questo dovrebbe realizzare quel vuoto mentale che conduce ad una pratica del karate perfetta che non tenga conto del mondo attorno a noi.
E’ sicuramente un traguardo difficile da raggiungere forse perché è la stessa natura dell’uomo che ne complica l’applicazione.
L’uomo è spesso portato a perdere il senso del presente, a diventare indifferente, a non curare con attenzione le situazioni della vita di tutti i giorni. Pertanto la ricerca nel mokuso di una situazione che nella maggioranza dei casi diventa quasi incomprensibile, va lasciata a chi riesce a realizzare questa difficile condizione mentale.
Se al contrario il momento del mokuso è vissuto come modo di prendere coscienza dei propri pensieri, diventa più facile utilizzare al meglio la manciata di secondi in cui è eseguito.
L’ideogramma “So” è composto di più parti che significano occhio e mente. Molti traducono questo significato in “guardare nel proprio cuore”. A questo punto non possiamo più parlare di astrazione, ma di un momento in cui dovremmo fare una profonda analisi della vita presente, che si esteriorizza nella pratica del karate.
A fine allenamento, il mokuso dovrebbe aiutarci a ricollocare i nostri pensieri nella vita fuori del dojo.
Se utilizzato e capito bene, il mokuso diventa un momento di sincerità e di verifica su noi stessi, mentre consideriamo il tempo speso durante l’allenamento. A seconda della risposta che scaturirà da questa profonda e leale introspezione, ci auto giudicheremo e se necessario faremo meglio nei prossimi allenamenti.
Il mokuso è eseguito in posizione Seiza (sedere quietamente) perché diventa più facile realizzare le seguenti condizioni:
- Decontrazione tonica del tronco
- Migliore controllo del respiro
- Migliore percezione del flusso di energia che attraversa il nostro corpo
Con il tempo e la pratica si controllano più facilmente i problemi legati ad una posizione che, soprattutto all’inizio, è difficile mantenere a lungo.